18 Dic 2013

SixthContinent è un Social Network di Consumatori che attraverso i consumi modifica l’economia mondiale.
I Cittadini e Consumatori di ogni parte del Mondo uniti in SixthContinent sviluppano e sostengono un modello economico che supera i limiti degli attuali sistemi economici non più in grado da soli di far fronte al mercato globale, spostando gli acquisti e i consumi verso le imprese che operano in fase economica “virtuosa” per l’intera Comunità.
La Comunità Digitale SixthContinent, strutturata come un Sistema Sociale, si fonda su Mo.Mo.Sy. l’algoritmo che classifica le Imprese in “virtuose” o “nocive” rispetto al modello economico che SixthContinent promuove e sostiene.

L’algoritmo Mo.Mo.Sy., sviluppato da Fabrizio Politi, è oggettivo, verificabile ed utilizza dati reperibili da chiunque.
Mo.Mo.Sy. elabora i dati di oltre 600.000 aziende di 42 Paesi ed individua i prodotti che contribuiscono positivamente al mercato, oppure lo impoveriscono, senza distinzione di bandiera, compatibilmente con la globalizzazione ed i fenomeni ormai incontrovertibili della delocalizzazione.

La Curva Mo.Mo.Sy. indica la linea di resistenza massima comune a tutti i settori industriali calcolata sulla capacità di un Impresa di produrre ricchezza per il numero di dipendenti, ovvero Utile Netto2/Dipendenti.
L’algoritmo Mo.Mo.Sy., basato su dati oggettivi, verificabilie reperibili da chiunque, indica la capacità massima di un Impresa di produrre Utili Netti per ogni dipendente, utilizzando un modello economico equo e virtuoso, infatti quando un’azienda produce una percentuale di utili netti per il numero di dipendenti superiore al valore segnato dalla curva Mo.Mo.Sy. significa che si trova in una fase speculativa rispetto al proprio settore, sottrae risorse al mercato e produce effetti dannosi sia alla concorrenza che alla comunità economica in cui opera.
Quando un’azienda produce Utili Netti superiori ai valori indicati dalla Curva Mo.Mo.Sy. significa che sta producendo grandi profitti a vantaggio di poche persone, diversamente se limitiamo gli utili ai valori sotto la curva non si verificherà più l’accumulo di grandi ricchezze nella mani di poche persone a scapito di molti, la ricchezza potrà essere prodotta e accumulata senza limiti, ma si produrrà in proporzione lavoro e benessere anche per la Comunità nella quale l’Impresa opera. 

Chiunque voglia approfondire l’argomento può farlo direttamente sul Social Network: http://www.sixthcontinent.org/

12 Dic 2013

La cosa migliore da fare alle Cayman, per chi vuole coi propri soldi far coincidere il lordo col netto (dalle tasse), è aprirsi un Asset protection trust, uno strumento in cui beni e risparmi dell’aspirante elusore/evasore fiscale vengono affidati a un fiduciario (trustee), che li gestisce rendendoli non riconducibili al loro proprietario, irrintracciabili dal Fisco italiano.

Sembra che un collega giornalista, abbia fatto un’inchiesta e si sia recato alla sede centrale della Cayman National Bank precisamente alla filiale di Caymana Bay (il quartiere di shopping e uffici creato dal miliardario Kenneth Dart, uno che ha rinunciato alla cittadinanza statunitense nel ’94 per scampare alle tasse), chiedendo di aprire un conto corrente e gli è stato risposto che doveva avere un domicilio locale. Ma quando ha chiesto di aprire un “trust”…

L’impiegata cambia espressione. Telefona a una collega e nonostante l’imminente orario di chiusura, sono lieti di attendere il giornalista. In banca, in una sala riunioni imperiale, ad accogliere il giornalista ci sono il capo dell’ufficio e la sua vice. Il giornalista racconta loro che ha qualche risparmio, circa un milione di euro e molta paura che l’Italia esca dall’euro e i suoi soldi si svalutino inoltre, chiede loro come può difendersi da questa ipotesi. I due capiscono la questione e propongono al giornalista una società, gestita da un fiduciario e dove il giornalista conferirà i suoi capitali in versamenti periodici. Il fiduciario investirà tali capitali in fondi, più o meno rischiosi a seconda delle preferenze del giornalista il quale potrà eventualmente darne indicazioni. I due impiegati garantiscono il 3-4 per cento l’anno. Naturalmente il giornalista avrà una carta di credito da usare quando vuole.

Il giornalista dice: “Sì, ma se in Italia decidono di mettere una patrimoniale sui depositi e vedono che il mio si è svuotato di colpo?” I due rispondono: “Non potranno fare niente. A meno che non sia denaro di sospetta provenienza criminale. E anche in quel caso, serve l’ordine di un giudice per vedere cosa c’è dentro un trust. Con il tempo che ci vuole, uno può spostare tutto nell’isola accanto. In ogni caso non intendiamo violare alcuna legge e ci coordineremo con il suo commercialista. Servono circa 12 mila dollari per aprire il trust, poi 6.500 all’anno per mantenerlo.” I due non chiedono al giornalista né di cosa si occupa, né come si chiama. “Dimenticavo” aggiunge il capo, come offerta last minute, “oltre al contante, nella società può far confluire immobili, yacht, qualsiasi suo bene”.

Felicemente nullatenente, addirittura in affitto dal trustee. Tornando in Italia la banca spiegherà al giornalista che per bonifici importanti avvisano la Banca d’Italia, che però non ha il tempo di controllare tutto. A quel punto chiede a un commercialista tra i più esperti di economia il quale riferisce testualmente: “Con l’archivio unico informatico ogni bonifico è tracciabile. Se poi il destinatario sono le Cayman si accende l’allarme rosso. Per evitare tutto ciò si potrebbe aprire un conto a Lussemburgo, che è Unione Europea, e da lì farlo proseguire per le Cayman. Oppure andare in Svizzera e trovare un professionista compiacente che confonda le tracce degli spostamenti di denaro”.

Se sui dollari americani c’è scritto: “In god we trust”, nella testa dei finanzieri di mezzo mondo c’è scritto: “In Cayman we trust”. E la semplicità con la quale un giornalista italiano si stava aprendo un fondo fiduciario, spiega perché 10 mila dei 15 mila totali, due terzi degli hedge fund di tutto il mondo, hanno sede alle Cayman.

Questo fa capire anche perché tre isole che insieme raggiungono le dimensioni dell’Elba, con 40 mila abitanti di cui la metà immigrati di lusso impiegati nella finanza, ospitino qualcosa come 80 mila società, delle quali 9 controllate da Citigroup, 33 di News Corporation (Murdoch) e 692 di Enron.

Il simbolo delle Cayman è l’Ugland House, un comunissimo palazzo di quattro piani che però ha una particolarità che lo rende unico: è la sede di 2000 società. Particolarità che è entrata nell’ultima campagna elettorale di Obama: “O l’Ugland House è l’edificio più grande del mondo, oppure è la frode fiscale più grande del mondo”. Obama ha insistito sulle Cayman perché il suo rivale Mitt Romney, un mito nel piccolo arcipelago caraibico, ha 10 milioni di dollari depositati in loco, dove hanno sede anche 137 società della holding di Romney, la Bain Capital.

Inoltre le stime del britannico Tax Justice Network: dei 21 mila miliardi di dollari (21.000.000.000.000) nascosti nei paradisi fiscali sparsi per il mondo, 2 mila miliardi sono alle Cayman.

Un magnete per capitali in fuga dalle tasse. Un posto che, narra la leggenda, ne venne esentato dal 1780, quando 10 navi della marina inglese si incagliarono al largo delle Cayman e i locali, accorrendo con i loro barchini, misero in salvo tutti gli equipaggi, guadagnandosi la riconoscenza di Re Giorgio III, che permise ai “Caymanesi” di non pagare più dazi all’Impero Britannico.

Da allora si è evoluto un sistema che ora ha una legislazione finanziaria che è una delle più friendly del pianeta. Così il quinto centro finanziario al mondo si mantiene senza tasse. Il governo si finanzia con i bolli, i permessi per lavorare nell’isola e l’Iva, che va dal 22 al 27 per cento per le merci di importazione.

Benvenuti a George Town, paradiso duty free e welfare free a soli 250 km dall’ultimo avamposto occidentale del socialismo reale, Cuba.

01 Dic 2013

Abraham Lincoln, John Fitzgerald Kennedy e Aldo Moro sono i tre esponenti politici che, poco dopo aver promosso leggi a favore della sovranità monetaria dei rispettivi Paesi, hanno poi fatto un brutta fine. Naturalmente il problema di fondo è quello dell’emissione sovrana di moneta, noto anche come Signoraggio Bancario.

Le banche centrali di moltissimi Paesi, spacciate come istituti pubblici, ma in realtà Società per Azioni private possedute generalmente da famiglie di banchieri senza scrupoli, hanno da sempre utilizzato qualsiasi mezzo per occultare la loro vera natura e nascondere l’inganno agli occhi della popolazione.

Il presidente Lincoln nel 1862, ebbe un incontro privato con un amico di vecchia data, il colonnello Edmund Dick Taylor che suggerì di stampare biglietti di Stato a corso legale per fronteggiare le spese della Guerra Civile Americana scoppiata l’anno precedente. Questa idea scaturì anche a causa degli interessi usurai (dal 24 al 36 per cento) pretesi dai banchieri internazionali nell’eventualità di un prestito all’Unione. Lincoln ovviamente non accettò e il 14 aprile 1865, durante uno spettacolo teatrale al Ford’s Theatre, John Wilkes Booth (attore che aveva più volte recitato proprio in quello stesso teatro) spara un colpo alla testa del presidente Lincoln. I lati oscuri della vicenda resteranno numerosi: l’assenza della guardia del corpo del presidente, impegnata a bersi qualche drink ed il mistero del killer, ufficialmente scovato e ucciso una decina di giorni dopo, anche se nel corso degli anni molti ricercatori hanno sostenuto che Booth fosse riuscito a scappare.

John Fitzgerald Kennedy, il 4 giugno 1963, firma l’Ordine Esecutivo 11110, un decreto presidenziale che di fatto toglieva alla Federal Reserve Bank (la banca centrale presente negli Stati Uniti) il potere di stampare denaro, restituendolo al Dipartimento del Tesoro, come sancito nella Costituzione americana. Il governo USA tornava in possesso della propria sovranità monetaria grazie ad una legge esplicita che lo autorizzava a «emettere certificati d’argento a fronte di ogni lingotto di argento e dollari d’argento della Tesoreria».
Praticamente gli Stati Uniti si riprendevano il diritto di stampare moneta, collegando l’emissione di banconote alle riserve d’argento della Tesoreria, senza la necessità di chiedere prestiti ad interessi alla Federal Reserve: biglietti a corso legale sgravati dal debito all’atto di emissione.  Guarda caso pochi mesi dopo, il 22 novembre 1963, il presidente Kennedy verrà ucciso a Dallas. Dopo più di quarant’anni i punti oscuri di questo omicidio rimangono senza una plausibile e convincente spiegazione ufficiale. Al contrario, risultano ormai palesi le incongruenze, i depistaggi e le manomissioni relative alla vicenda.

Aldo Moro lo statista della Democrazia Cristiana negli anni sessanta decise di finanziare la spesa pubblica italiana attraverso l’emissione di cartamoneta di Stato sgravata da debiti, in tagli da 500 lire, ossia con un “biglietto di Stato a corso legale”.
Con i DPR 20-06-1966 e 20-10-1967 del presidente Giuseppe Saragat venne regolamentata la prima emissione, la serie “Aretusa” (Legge 31-05-1966), mentre il presidente Giovanni Leone regolarizzò con il DPR 14-02-1974, la serie “Mercurio” (DM 2 aprile 1979), le famose banconote da 500 lire conosciute come “Mercurio alato”.
Già all’epoca la sovranità monetaria dell’Italia era limitata: allo Stato era concesso solamente il diritto di conio delle monete attraverso la Zecca, mentre le banconote venivano acquistate dal Fondo Monetario Internazionale. Un po’ come accade oggi, dove ai singoli Paesi europei spetta il diritto di coniare gli euro di metallo ma non le banconote, che vengono emesse dalla Banca Centrale Europea.
Lo statista, per ovviare ai limiti imposti di cui sopra, utilizzò un brillante stratagemma. Dopo aver autorizzato il conio delle 500 lire di metallo, fece una deroga che permetteva, contemporaneamente, l’emissione della versione cartacea, che poteva in questo modo essere stampata ugualmente dalla Zecca di Stato.
Il 16 marzo 1978 Aldo Moro venne rapito e ucciso il 9 maggio dello stesso anno. Casualmente, in seguito al tragico avvenimento, l’Italia smise di emettere biglietti di Stato. Va anche tenuto presente che alcuni anni prima, durante la visita negli Stati Uniti dello statista italiano nel settembre 1974, Henry Kissinger lo minacciò pesantemente, come riferito dal portavoce di Moro, Corrado Guerzoni, davanti ai giudici.

Come per gli omici di Lincoln e Kennedy, anche in questo caso i punti oscuri sono numerosissimi.