La cosa migliore da fare alle Cayman, per chi vuole coi propri soldi far coincidere il lordo col netto (dalle tasse), è aprirsi un Asset protection trust, uno strumento in cui beni e risparmi dell’aspirante elusore/evasore fiscale vengono affidati a un fiduciario (trustee), che li gestisce rendendoli non riconducibili al loro proprietario, irrintracciabili dal Fisco italiano.

Sembra che un collega giornalista, abbia fatto un’inchiesta e si sia recato alla sede centrale della Cayman National Bank precisamente alla filiale di Caymana Bay (il quartiere di shopping e uffici creato dal miliardario Kenneth Dart, uno che ha rinunciato alla cittadinanza statunitense nel ’94 per scampare alle tasse), chiedendo di aprire un conto corrente e gli è stato risposto che doveva avere un domicilio locale. Ma quando ha chiesto di aprire un “trust”…

L’impiegata cambia espressione. Telefona a una collega e nonostante l’imminente orario di chiusura, sono lieti di attendere il giornalista. In banca, in una sala riunioni imperiale, ad accogliere il giornalista ci sono il capo dell’ufficio e la sua vice. Il giornalista racconta loro che ha qualche risparmio, circa un milione di euro e molta paura che l’Italia esca dall’euro e i suoi soldi si svalutino inoltre, chiede loro come può difendersi da questa ipotesi. I due capiscono la questione e propongono al giornalista una società, gestita da un fiduciario e dove il giornalista conferirà i suoi capitali in versamenti periodici. Il fiduciario investirà tali capitali in fondi, più o meno rischiosi a seconda delle preferenze del giornalista il quale potrà eventualmente darne indicazioni. I due impiegati garantiscono il 3-4 per cento l’anno. Naturalmente il giornalista avrà una carta di credito da usare quando vuole.

Il giornalista dice: “Sì, ma se in Italia decidono di mettere una patrimoniale sui depositi e vedono che il mio si è svuotato di colpo?” I due rispondono: “Non potranno fare niente. A meno che non sia denaro di sospetta provenienza criminale. E anche in quel caso, serve l’ordine di un giudice per vedere cosa c’è dentro un trust. Con il tempo che ci vuole, uno può spostare tutto nell’isola accanto. In ogni caso non intendiamo violare alcuna legge e ci coordineremo con il suo commercialista. Servono circa 12 mila dollari per aprire il trust, poi 6.500 all’anno per mantenerlo.” I due non chiedono al giornalista né di cosa si occupa, né come si chiama. “Dimenticavo” aggiunge il capo, come offerta last minute, “oltre al contante, nella società può far confluire immobili, yacht, qualsiasi suo bene”.

Felicemente nullatenente, addirittura in affitto dal trustee. Tornando in Italia la banca spiegherà al giornalista che per bonifici importanti avvisano la Banca d’Italia, che però non ha il tempo di controllare tutto. A quel punto chiede a un commercialista tra i più esperti di economia il quale riferisce testualmente: “Con l’archivio unico informatico ogni bonifico è tracciabile. Se poi il destinatario sono le Cayman si accende l’allarme rosso. Per evitare tutto ciò si potrebbe aprire un conto a Lussemburgo, che è Unione Europea, e da lì farlo proseguire per le Cayman. Oppure andare in Svizzera e trovare un professionista compiacente che confonda le tracce degli spostamenti di denaro”.

Se sui dollari americani c’è scritto: “In god we trust”, nella testa dei finanzieri di mezzo mondo c’è scritto: “In Cayman we trust”. E la semplicità con la quale un giornalista italiano si stava aprendo un fondo fiduciario, spiega perché 10 mila dei 15 mila totali, due terzi degli hedge fund di tutto il mondo, hanno sede alle Cayman.

Questo fa capire anche perché tre isole che insieme raggiungono le dimensioni dell’Elba, con 40 mila abitanti di cui la metà immigrati di lusso impiegati nella finanza, ospitino qualcosa come 80 mila società, delle quali 9 controllate da Citigroup, 33 di News Corporation (Murdoch) e 692 di Enron.

Il simbolo delle Cayman è l’Ugland House, un comunissimo palazzo di quattro piani che però ha una particolarità che lo rende unico: è la sede di 2000 società. Particolarità che è entrata nell’ultima campagna elettorale di Obama: “O l’Ugland House è l’edificio più grande del mondo, oppure è la frode fiscale più grande del mondo”. Obama ha insistito sulle Cayman perché il suo rivale Mitt Romney, un mito nel piccolo arcipelago caraibico, ha 10 milioni di dollari depositati in loco, dove hanno sede anche 137 società della holding di Romney, la Bain Capital.

Inoltre le stime del britannico Tax Justice Network: dei 21 mila miliardi di dollari (21.000.000.000.000) nascosti nei paradisi fiscali sparsi per il mondo, 2 mila miliardi sono alle Cayman.

Un magnete per capitali in fuga dalle tasse. Un posto che, narra la leggenda, ne venne esentato dal 1780, quando 10 navi della marina inglese si incagliarono al largo delle Cayman e i locali, accorrendo con i loro barchini, misero in salvo tutti gli equipaggi, guadagnandosi la riconoscenza di Re Giorgio III, che permise ai “Caymanesi” di non pagare più dazi all’Impero Britannico.

Da allora si è evoluto un sistema che ora ha una legislazione finanziaria che è una delle più friendly del pianeta. Così il quinto centro finanziario al mondo si mantiene senza tasse. Il governo si finanzia con i bolli, i permessi per lavorare nell’isola e l’Iva, che va dal 22 al 27 per cento per le merci di importazione.

Benvenuti a George Town, paradiso duty free e welfare free a soli 250 km dall’ultimo avamposto occidentale del socialismo reale, Cuba.

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